La creazione del vasto dominio di Ciro II mise gli imperatori persiani a contatto con la civiltà mesopotamica, alla quale poi si ispirarono mantenendo tuttavia un forte equilibrio nei riguardi delle antiche tradizioni. Il sovrano achemenide non era né un dio, né un suo rappresentante, come venivano considerati i re babilonesi o assiri, e anche se egli si riteneva prescelto dalla divinità aveva coscienza di essere stato eletto dalla nobiltà alla quale rimaneva legato. In quanto uomo tra gli uomini, secondo la tradizione indoeuropea, fondava la sua autorità sul valore e sulla forza; in quanto eletto dal dio aveva il dovere, secondo la tradizione mesopotamica, di conseguire la verità e la giustizia, di proteggere i deboli e di ispirarsi alla volontà divina. Poiché l’impero era costituito dall’insieme di realtà diverse con tradizioni e costumi propri, i persiani non pretesero di creare dal nulla un’unità culturale e civile, ma lasciarono ampie autonomie ai singoli paesi (specialmente alla Babilonia, all’Egitto, alla Giudea e alle città ioniche), limitandosi a imporre l’unità amministrativa e promuovendo condizioni generali di pace come non era mai accaduto in passato. Tutto l’impero era diviso in satrapie, ripartizioni amministrative governate dai satrapi i quali appartenevano di preferenza alla famiglia reale e che rappresentavano il sovrano. Benché vigilati da segretari regi, i satrapi, in quanto nobili di alto lignaggio, governavano le province dalle loro corti come autentici sovrani, finché Dario I, il "Gran Re", organizzò un’efficiente burocrazia diretta dagli ispettori sui quali vigilava un visir. Il sistema dispotico accentrato, organizzato da Dario, dotò i popoli sottoposti di una legislatura unificata e universalmente valida e di un efficiente sistema di tassazione.